Vale la pena che un bambino impari piangendo,
quel che può imparare ridendo? - Gianni Rodari
-
Una
scuola a misura di bimbo..
Paola Pagone, mamma di due ragazze grandi, di una bimba di quasi 7
anni, una ragazzina di 13 anni in affido, tre gatti ed un cane. Insegnante al
CTP - Corsi per la Cittadidanza ed alfabetizzazione destinati ad adulti
stranieri - maestra di scuola primaria, è ora docente di sostegno in un piccolo
paese di quasi montagna. Ha partecipato a corsi di formazione per il
riconoscimento, la gestione e l'inclusione di alunni DSA e BES. Chi volesse
porre domande relative alla scuola, può scrivere all'indirizzo mail
paola.pagone@gmail.com - specificando se si desidera mantenere l'anonimato.
Quando mi è stato proposto di
scrivere per la rivista online qualche articolo relativo alla scuola mi son
domandata quali potessero essere gli argomenti di maggior interesse per i
genitori che avrebbero letto, quali quelli che avrebbero meglio potuto
supportarli nel quotidiano-scolastico, quali ancora avrebbero contenuto
risposte alle domande che, solitamente, le famiglie si pongono.. poi ho pensato
a quali concetti e pensieri io, in qualità di docente, avrei desiderato
trasmettere per meglio far comprendere il mio lavoro di insegnante.. quindi ho
scritto, cancellato, riscritto.. infine ho realizzato che nulla di tutto ciò
sarebbe stato realmente importante se prima non avessimo considerato i bambini,
la loro centralità emotiva, il loro esser persone; così ho ritenuto che, in una
presentazione, tutto potesse esser compreso nella frase di un Uomo le cui opere
hanno espresso, con parole profondamente semplici, quel che avverto ogni volta
in cui sono accanto ad un bambino:
Dite: è faticoso frequentare i
bambini. Avete ragione.
Poi aggiungete: perché bisogna
mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi,
farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
E’ piuttosto il fatto di essere
obbligati a innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla
punta dei piedi.
Per non ferirli.
Janusz Korczak
Pseudonimo di Henryk Goldszmit,
pedagogista, medico, militante sociale polacco di origine ebraica, scrittore,
precursore delle lotta a favore dell'eguaglianza dei diritti del bambino. Nelle
istituzioni da lui fondate introdusse l’autogestione, volta a garantire ai
bambini il diritto inalienabile di deferire i propri educatori ad un tribunale
unicamente composto da ragazzi.
Fondò la prima rivista redatta
unicamente da bambini.
Si occupò di risocializzazione dei
minori disagiati, della diagnosi (che ora definiremmo DSA - disturbi
comportamentali) in età pediatrica e della tutela del bambino definito
"difficile".
Il suo illustre pensiero è
l'ispirazione della Convenzione Mondiale dei Diritti del Bambino, promulgata
nel 1989 dall’Assemblea Plenaria delle Nazioni Unite.
Quando, la mattina del 5 o 6 Agosto
1942 le truppe delle SS circondarono il Piccolo Ghetto di Varsavia per iniziare
la deportazione degli occupanti, Janusz Korczak venne riconosciuto come persona
degna di rispetto e meritevole dell'opportunità di mettersi in
salvo, ma il pedagogo rifiutò e mai
abbandonò i bimbi della Casa degli Orfani, da lui fondata.
Autorevoli e storicamente
comprovate biografie ne narrano la Marcia che lo condusse su un carro bestiame,
la cui destinazione era Treblinka, seguito dagli educatori e dai suoi 192
bambini a cui aveva fatto indossare i grembiulini puliti "della festa".
Fu una Marcia sospesa tra trance e
dolore in una città atterrita ed una realtà spietata che videro, per l'ultima
volta, Korczak attraversare le strade tenendo tra le braccia due bambini.
Gli articolo che si susseguiranno
faranno sempre riferimento agli scritti di Janusz Korczak, il cui pensiero trae
la propria luce ispirante dalla limpidezza di chi ha saputo guardare e perdersi
negli occhi di un bambino, ritrovando se stesso bambino.. comprendendolo,
dandogli voce, offrendogli attenzione!
Quando da piccola mi ponevano la
consueta domanda "Cosa vorrai fare da grande?" la mia risposta è
sempre e solo stata "La maestra!"
Non la ballerina, la cantante, la
veterinaria.. la maestra..perchè tale era l'amore per la mia insegnante che non
avrei voluto esser altri se non lei.
La vita,
come spesso accade, mescola le carte e ci è voluto del tempo perchè qualcuno mi
chiamasse maestra.. ho svolto altri lavori, ho insegnato italiano ad adulti
stranieri.. poi la prima supplenza proprio nella scuola che mi aveva vista con
il grembiulino bianco ed il fiocco blu e camminando in quei corridoi, entrando
in quelle aule ho respirato la stessa "aria buona di casa e d’amore"
di allora, ho avvertito la stessa immutata emozione e, sebbene la mia maestra
vivesse ormai solo in un ricordo prezioso custodito tra i più cari, ne ho
cercato la voce, l'immagine, le mani tese affinchè potessimo raggiungerla.. tutti!
Il suo insegnamento più prezioso?
La prima poesia che ci fece imparare in prima -
Un dì d'autunno un vomere
fattosi per lungo ozio rugginoso
vide il fratel tornarsene dai campi
luminoso
e domandò curioso:
- Sopra la stessa incudine fattoci
e d'un sol acciaro
tu sì pulito e chiaro
ed io son pien di ruggine!
Chi mai ti fe' sì bello?
- Il lavoro fratello!
..e, come spesso ripeto, quello
dell'insegnante di scuola primaria non è un lavoro, ma una splendida
opportunità per conservare in sé il bello dell'esser bambini.
Esser maestre è un privilegio!
Paola Pagone
Per scaricare il magazine di cui fa parte questo articolo clicca qui!
Nessun commento:
Posta un commento