domenica 30 novembre 2014

…e la chiamano “Educazione Alimentare”


Mamma senza filtro
Parleremo di fatti, personali o pubblici, che ci fanno “partire l’embolo”quando i bambini non vengono rispettati nella loro integrità di esseri umani. Chiara Pagliarini, mamma di due bimbi, promuove l’allattamento al seno, il cosleeping, l’educazione senza violenza. Ha tradotto per Il leone Verde il libro “La sculacciata” e molti articoli di Alice Miller, psicoanalista che si è occupata dei traumi infantili. Collabora con il sito http://www.bambinonaturale.it/ e ha un blog dove, assieme ad un’amica, pubblica racconti per bambini http://ilmondodialichia.wordpress.com/


…e la chiamano “Educazione Alimentare”

Il mio primo figlio, Leonardo, verso i due anni e mezzo diventò molto selettivo in fatto di cibo. L’avevo svezzato secondo le indicazioni della pediatra e, anche se non aveva mai gradito le farinate, all’inizio dell’esperienza coi cibi solidi mangiava volentieri alcuni frutti e dei bei piatti di minestra col passato di verdura. Purtroppo, a causa di vari problemi alla nascita (che racconto in questo articolo pubblicato sul sito del Bambino Naturale: http://www.bambinonaturale.it/2013/09/latte-materno-allattamento-misto-mia-esperienza/ ) ero riuscita ad allattarlo davvero poco, e sempre assieme all’aggiunta di latte artificiale. Anzi, il latte artificiale era il primo sapore che gli era toccato assaggiare.
Giunto a tre anni, all’avvio dell’esperienza con la scuola dell’infanzia, Leonardo rifiutava completamente la frutta e quasi tutte le verdure, che non fossero le patate e gli spinaci, mente mangiava volentieri pasta, carne e pesce.
Alla materna le maestre ci spiegarono che l’educazione alimentare contenuta nel piano dell’offerta formativa prevedeva che i bambini assaggiassero tutti i cibi loro proposti, ma che poi potevano rifiutarsi di mangiare (solo però una volta eseguito l’assaggio).
Io non ero d’accordo con quel metodo e lo dissi subito alle insegnanti, comunque il bambino andava a scuola volentieri e tranne un unico incidente (una supplente lo forzò mettendogli in bocca un pezzettino di insalata, e Leonardo vomitò subito), l’anno scolastico si concluse senza particolari problemi.
Il secondo anno cominciarono le preoccupazioni e le somatizzazioni. Mentre i più piccoli dovevano solo toccare con la lingua i cibi sgraditi, in seconda cominciava l’obbligo dell’assaggio di almeno un pezzetto per ciascun tipo cibo presente durante l’ora del pasto. E badate bene: non uno o due assaggi per ogni cibo e poi basta, ma per tutto l’anno scolastico! Se un bambino aborriva istintivamente un cibo, ad esempio i pomodori o le carote, era ugualmente costretto ad assaggiare i pomodori e le carote per tutto l’anno.
Vi immaginate di essere sottoposti ad una simile tortura da adulti? Spesso facevo questo esempio alle mamme con cui avevo l’occasione di parlare e anche alle maestre: ognuno di noi ha un cibo sgradito, io ad esempio non sopporto il gorgonzola, mio marito il fegato di vitello. Ci piacerebbe essere costretti, magari una volta a settimana, ad assaggiare quei cibi durante il pranzo? Se si trattasse di un adulto, una simile imposizione verrebbe considerata una vera e propria tortura!
Non ci fu niente da fare, l’assaggio dei cibi era la regola e non c’era modo di sgarrare.
Leonardo cominciò ad avere gli incubi notturni e spesso al venerdì si ammalava di tonsillite, non voleva più andare alla materna e io cominciai a guardarmi attorno in cerca di soluzioni alternative. Purtroppo non potevo lasciare il lavoro, e non avevo possibilità di tenerlo a casa. Il resto dell’esperienza con la scuola era poi molto positiva, adorava stare con i suoi compagni. Quando riuscivamo, io e mio marito lo portavamo a casa a mangiare e lo riportavamo a scuola dopo pranzo.
In terza raggiungemmo il culmine del sadismo. Dopo aver parlato col dirigente scolastico (e lì le insegnanti negarono categoricamente di aver mai obbligato mio figlio a mangiare) e con la pediatra (che invece mi credette e mi appoggiò in pieno), presentai un certificato medico in cui la pediatra aveva indicato tutti i cibi che Leonardo era esentato dal dover mangiare.
Le maestre mi tolsero il saluto. Avevo osato mettere in discussione il loro metodo “educativo” e di questo fece le spese mio figlio.
Mentre gli altri bambini all’ultimo anno dovevano assaggiare tre pezzetti per ogni cibo, mio figlio era costretto a pulire il piatto di tutto ciò che la pediatra aveva lasciato fuori dalla lista!
Quell’anno vomitò due volte durante i pasti (pasta e fagioli una volta, e hamburger la seconda). Ebbe svariati episodi di mal di gola con febbre alta e streptococco, unica soluzione trovata dal suo corpo per evitare quella tortura. Faceva incubi ogni notte di mostri che lo inseguivano e volevano ucciderlo.
Quell’anno corremmo tre volte al pronto soccorso per episodi di laringospasmo (tosse abbaiante che non si ferma): la sua gola era sempre infiammata e gonfia, per evitare di mandar giù cibi sgraditi.
Anch’io quell’anno mi ammalai moltissimo, ebbi addirittura un’otite e mal di gola continui. Non riuscivo a capire come aiutare mio figlio, l’unica maniera era di ammalarmi e soffrire con lui.
Ebbi molte conferme dai compagni di Leonardo che l’obbligo dell’assaggio c’era eccome. Alcuni bambini mi raccontarono che in diverse occasioni Leonardo piangeva, e che la maestra restava col cucchiaio davanti alla sua bocca, urlandogli di mangiare, finché non la apriva per mandar giù il cibo sgradito.
Nel frattempo ci eravamo trasferiti di casa e qui, appena cominciammo a frequentare il nuovo quartiere, chiesi ad una bambina come fosse la situazione all’asilo della zona. Ricordo perfettamente la sua risposta alla mia domanda: “Ma le maestre vi obbligano a mangiare?”
“No, non ci obbligano. DOBBIAMO mangiare!”
La situazione era dunque generalizzata, l’obbligo vigeva anche lì.
Alla primaria le cose sono finalmente cambiate. Le maestre hanno un altro approccio, consigliano ai bambini di assaggiare i cibi ma non obbligano nessuno.
Leonardo ha avuto mal di gola solo una volta in prima elementare, poi finalmente il suo corpo si è rilassato. Gli è rimasta una vera e propria fobia per alcuni cibi, che rifiuta di toccare (le fragole, l’insalata, i pomodori). Ricorda ancora con tristezza e raccapriccio una volta in cui alla materna lo costrinsero a mangiare le fragole con la panna. Oggi ha nove anni e lentamente da circa un anno sta iniziando ad assaggiare sapori nuovi.
Quella che era una ritrosia, magari un po’ più marcata rispetto ad altri bambini, è stata trasformata in una vera e propria fobia a causa di un metodo coercitivo spacciato per educativo, attuato con l’unico scopo di dimostrare e far valere, magari inconsciamente, autorità e potere sui bambini. Non credo che l’obbligo dell’assaggio possa modificare i gusti o le preferenze alimentari dei bambini, ma può invece generare dei traumi difficilmente superabili. Le maestre della scuola dell’infanzia che usano questo metodo farebbero meglio a rendersene conto.

Chiara Pagliarini






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