Sono Stefania
Macchieraldo mamma di Tommaso 15 mesi. Psicologa di professione. Dopo essere
passata attraverso il mare delle emozioni che una gravidanza e una nascita
portano con sé, continuo l'entusiasmante avventura del crescere insieme al mio
piccolo. E' stato, così, inevitabile portare anche la mia professione sul
versante della passione di essere mamma: una mamma ad alto contatto, con un po'
di nozioni professionali, molto imperfetta, allergica ai fanatismi e
intollerante alle ingiustizie.
Oltre ad
orientare la mia formazione a sostegno della maternità e ad occuparmi di future
mamme e mamme, oltre che di donne in generale, scrivo per il blog Mom's dove mi
piace portare temi che penso possano essere utili, anche a partire dalle
esperienze vissuta sulla mia pelle e su quella delle mamme che ho il privilegio
di incontrare.
TEORIA PER
CHIOCCE CONSAPEVOLI E FELICI (VS.
GALLINE SAPUTELLE)
Quattro mesi
tondi, un'aria e un contegno da ometto, strabilianti, Tommaso, dopo essere
stato tranquillo e curioso in chiesa e un po' attonito da tutta quella gente
durante la sua , ad un certo punto dall'ovetto mi chiede chiaramente di volare
tra le mie braccia.
Immediatamente
alle mie spalle sento un brusio... o meglio un chiocciare da pollaio e già un
fremito percorre la mia spina dorsale (sarà stata una questione ormonale ma i
primi mesi di maternità verso il mondo esterno ero piuttosto aggressivamente
prevenuta).
Mi volto,
mentre il mio piccolo è già godutamente aggrappato al mio collo e mi investe un
coro di... “Eccola lì! È così che prendono i vizi!” pronunciato da una serie di
prozie attempatelle con tanto di sguardo malizioso di chi la sa lunga, che più
le guardo appollaiate su quella panca più mi paiono galline.
Quante volte ho sentito e visto
reazioni del genere attorno a me, soprattutto i primi tempi del mio essere
mamma e bimbo. Forse perché una neo mamma è più sensibile o forse perché il
tempo insegna ad avere pazienza e a non pretendere di spiegare, con fare da
maestrina cose che sono state capite ormai quasi un secolo fa, a chiunque, dopo
un po' ho iniziato a liquidare la faccenda con un sorriso sicuro di sé tutti
coloro che tanto avevano a che fare poco ormai con i piccoli.
Ma con gli
altri no. E allora ecco fare “educazione” con nonni, zii e co. E ogni volta in
cui pareva esserci terreno fertile con giovani mamme.
Non pensate,
però, che io sia una specie di mamma perfetta!
Sapere le
cose è fondamentale ma non basta.
Lavorare su
se stessi è utile ma non basta.
E allora?
Allora,
informiamoci, diventiamo consapevoli, se necessario lavoriamo su noi stesse e,
intanto, facciamo le nostre scelte in serenità, conoscendo cosa sarebbe
ottimale ma anche sapendo che la perfezione non esiste, anzi, direi che la
perfezione non è mamma!
Vi dirò di
più (e lo approfondirò in uno dei prossimi articoli) per il benessere dei
nostri figli è importante essere “mamma sufficientemente buone” ovvero non
perfette.
Intanto, vi
lascio un po' di teoria per saperne di più e per zittire, eventualmente, chi si
permette di dare giudizi a chi, assecondando l'istinto di ogni madre
“sufficientemente buona”, accorre al pianto dei propri bimbi e sceglie,
sentendosi appagata, di ispirarsi all'accudimento “ad alto contatto” di cui
tanto si parla.
Negli anni 50
del secolo scorso, J. Bowlby e M. Ainsworth, dall'osservazione del
comportamento dei piccoli in rapporto alla loro figura di cura, tipicamente la
madre, misero a punto la teoria dell'attaccamento secondo la quale la madre con
il suo stile di accudimento influisce sullo sviluppo della personalità del
bambino. La teoria definisce “base sicura” la situazione ottimale in cui i
bambini possono crescere appagati nei loro bisogni, gradualmente indipendenti e
con una buona autostima e fiducia in sé stessi e negli altri che li aiuterà a
fare scelte costruttive nelle relazioni con gli altri.
Lo stile di
attaccamento è innato, geneticamente programmato e ha la finalità di far
restare vicino ai piccoli un adulto che possa proteggerli, ma lo stile con cui
questo risultato viene ottenuto è modellato anche dall'ambiente, ovvero dallo
stile di accudimento della figura di cura, spesso la mamma.
I
tre stili di attaccamento così
detti “organizzati” ovvero che in qualche modo funzionano sono tre: sicuro,
insicuro evitante, insicuro ansioso. Un quarto tipo (disorganizzato) riguarda
le relazioni più disturbate e, per fortuna, interessa un numero inferiore di
casi.
Il
bambino “sicuro” sa che ha nella figura accudente un “porto” sicuro dal quale si può allontanare per
esplorare il mondo e al quale può ritornare qualora qualcosa lo turbi o ne
senta la necessità.
La
figura accudente è sensibile ai segnali del bambino,
disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo
richiede ma sa anche rispettare le sue manifestazioni di autonomia.
I bimbi con attaccamento sicuro
dimostrano sicurezza nell’esplorazione del mondo, pensano di essere degni di
amore, hanno la capacità di sopportare distacchi prolungati commisurati all'età,
non hanno ansia da separazione, hanno fiducia nelle proprie capacità e in
quelle degli altri, sono positivi ed affidabili, sanno avere fiducia negli
altri.
Il tipo di relazione avuta con la
figura di cura principale influenzerà tutte le relazioni interpersonali
successive, la scelta dei partner e lo stile di accudimento dei propri figli.
Quando c'è
stato un attaccamento sicuro nel bambino, le relazioni interpersonali future
saranno, più probabilmente, improntate sul rispetto
di sé e dell’altro, sulla stima e sulla fiducia. Nelle relazioni amorose
ci sarà la ricerca di partners che abbiano la stessa “sicurezza”, dunque le
relazioni avranno più probabilità di essere durature ed equilibrate con la
capacità di superare i conflitti e le difficoltà con strategie adeguate alla
situazione.
Nello stile “insicuro
evitante” il bambino tende a non chiedere aiuto perché percepisce la
figura accudente come poco disponibile ad ascoltarlo, poco presente o
addirittura rifiutante. Prevale così l'insicurezza e sfiducia verso
il mondo esterno, la convinzione di non essere amato, la tendenza
all’evitamento per paura del rifiuto, ed un'apparente “autosufficienza” dovuta
alla necessità di bastare a se stesso.
Le relazioni
interpersonali future saranno caratterizzate da freddezza
emotiva. Il bambino ormai divenuto adulto ed avendo interiorizzato la
madre “rifiutante”, cercherà in tutti i modi di difendersi da eventuali
esperienze altrettanto rifiutanti.
Il bambino che ha un attaccamento “insicuro
ansioso” percepisce la figura d’attaccamento come disponibile in maniera discontinua: a volte la
madre è presente o addirittura eccessivamente invasiva, ansiosa, in altri
momenti è assente.
Sono bambini
che temono l'abbandono e possono soffrire di ansia da separazione. Talvolta la
minaccia preferita dalle figure accudenti è “se non fai ciò che ti dico ti abbandono”. L'esplorazione del mondo risulterà insicura,
caratterizzata da ansia. Il bambino si percepirà come persona non degna
di amore.
Nelle relazioni interpersonali il
soggetto sarà in balia spesso dell’impulso,
della passione e talvolta mostrerà grande gelosia, possessività e ossessione.
Idealizzerà gli altri sopravvalutandoli e sovente sminuirà il proprio se
stesso, con sentimenti di sfiducia circa le proprie capacità.
Oltre ad essere una sintesi, quella
descritta è una semplificazioni di tipologie che nella realtà si trovano più
sfumate e meno nette. I tre tipi di attaccamento, anche se quello sicuro è
quello ottimale, sono comunque funzionali a mantenere la vicinanza anche in modo
più o meno sereno.
Mentre l'attaccamento “disorganizzato”
è quello che può essere fattore di rischio rispetto alla psicopatologia, motivo
per cui nell'ottica della prevenzione è utile riconoscere il disagio per
indirizzare chi ne è portatore verso una richiesta di aiuto per evitare più
gravi disagi futuri.
Le figure di accudimento, in casi di
attaccamento disorganizzato, hanno traumi irrisolti, sono spaventate e, quindi,
spaventanti per il bambino che resta disorientato tra il bisogno di accudimento
e la paura nel riceverlo.
Di fronte a situazioni stressanti,
questi bambini possono rimanere congelati a metà azione, avere sguardo fisso
nel vuoto oppure tipicamente mostrare reazioni completamente opposte nello
stesso breve lasso di tempo, come avere un contemporaneo avvicinamento e
rifiuto della mamma.
L’immagine
di sé e dell’altro è vissuta in maniera negativa, vi è rifiuto dell’intimità e spesso
conflitto tra questo e la ricerca dell’altro dal quale tali soggetti a volte si
mostrano dipendenti.
Il
soggetto lamenterà solitudine e paura di non piacere se non riesce a trovare una persona
con cui stare. Quando instaurerà una relazione di coppia, assumerà un ruolo passivo, colpevolizzandosi
eccessivamente per i problemi interni alla coppia stessa.
Tipo di attaccamento che può favorire
insorgenza di patologia oltre a creare forti difficoltà relazionali: non fa
bisogno di essere malati per soffrire.
Ricapitolando e precisando alcune
cose:
–
il
bambino nasce già “competente” e predisposto alla relazione interpersonale
–
la
madre è tipicamente la figura di attaccamento principale ma non l'unica, sempre
più ricerche sottolineano l'importanza del padre e degli attaccamenti multipli
soprattutto nelle situazioni meno facili
–
sono
tre i tipi relativamente sani di attaccamento (sicuro, evitante, ansioso) anche
se quello sicuro è sicuramente fattore protettivo rispetto la patologia e
maggior garante di una vita caratterizzata da relazioni costruttive e serene
–
l'attaccamento
disorganizzato è un fattore critico da non lasciare inascoltato e rispetto al
quale intervenire
–
il
sistema di attaccamento che si instaura durante i primi anni di vita influisce
su
a) la
percezione di se stessi come degni di amore o meno, la stima di sé e la fiducia
negli altri
b) le scelte relazionali affettive future
–
da
ciò risulta che è utile e responsabile lavorare su se stessi (o/e sulla
relazione) per evitare di mantenere la trasmissione intergenerazionale delle
carenze del rapporto madre-figlio: il modello che abbiamo ricevuto
automaticamente, in qualche modo, si ripropone (identico o reattivamente
opposto) e andrà ad influenzare le scelte affettive dei nostri figli e la loro
percezione di se stessi;
–
è
dimostrato che da adulti, lavorando su si sé, si possono recuperare le
eventuali difficoltà sorte da un attaccamento non ottimale, rivivendo una
relazione nel modo corretto con un terapeuta; tale lavoro può essere effettuato
tanto per migliorare la propria autostima e la qualità delle proprie relazioni,
quanto per divenire il più possibile “base sicura” per i nostri figli.
E' evidente come gli stili materni
“ad alto contatto” siano congruenti con la teoria dell'attaccamento e quindi siano ottimi se applicati in un
contesto che rispetti, tanto il bisogno di vicinanza del bambino, quanto quello
di crescente autonomia.
A chiudere ci tengo, però,
sottolineare un paio di concetti:
- Una madre per fare crescere bene i
suoi figli deve essere “una madre sufficientemente buona” ovvero non perfetta!
Una madre perfetta che soddisfa addirittura anticipando tutti i bisogni del
bambino è nociva, ruba la conquista della competenza, della sicurezza e
dell'autonomia dei bambini e provoca gravi danni.
- Un bambino per crescere sano e
felice deve assorbire la serenità dagli occhi della sua mamma, per questo il
benessere delle mamme va tutelato quanto quello dei loro piccoli, al di là
delle scelte e delle preferenze di accudimento.
Ai prossimi articoli per parlare
proprio di questo!
D.ssa Stefania Macchieraldo
Psicologa
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