venerdì 6 novembre 2015

TEORIA PER CHIOCCE CONSAPEVOLI E FELICI (VS. GALLINE SAPUTELLE)


Psicologia e dintorni
Sono Stefania Macchieraldo mamma di Tommaso 15 mesi. Psicologa di professione. Dopo essere passata attraverso il mare delle emozioni che una gravidanza e una nascita portano con sé, continuo l'entusiasmante avventura del crescere insieme al mio piccolo. E' stato, così, inevitabile portare anche la mia professione sul versante della passione di essere mamma: una mamma ad alto contatto, con un po' di nozioni professionali, molto imperfetta, allergica ai fanatismi e intollerante alle ingiustizie.


Oltre ad orientare la mia formazione a sostegno della maternità e ad occuparmi di future mamme e mamme, oltre che di donne in generale, scrivo per il blog Mom's dove mi piace portare temi che penso possano essere utili, anche a partire dalle esperienze vissuta sulla mia pelle e su quella delle mamme che ho il privilegio di incontrare.



TEORIA PER CHIOCCE  CONSAPEVOLI E FELICI (VS. GALLINE SAPUTELLE)

Quattro mesi tondi, un'aria e un contegno da ometto, strabilianti, Tommaso, dopo essere stato tranquillo e curioso in chiesa e un po' attonito da tutta quella gente durante la sua , ad un certo punto dall'ovetto mi chiede chiaramente di volare tra le mie braccia.
Immediatamente alle mie spalle sento un brusio... o meglio un chiocciare da pollaio e già un fremito percorre la mia spina dorsale (sarà stata una questione ormonale ma i primi mesi di maternità verso il mondo esterno ero piuttosto aggressivamente prevenuta).
Mi volto, mentre il mio piccolo è già godutamente aggrappato al mio collo e mi investe un coro di... “Eccola lì! È così che prendono i vizi!” pronunciato da una serie di prozie attempatelle con tanto di sguardo malizioso di chi la sa lunga, che più le guardo appollaiate su quella panca più mi paiono galline.
Quante volte ho sentito e visto reazioni del genere attorno a me, soprattutto i primi tempi del mio essere mamma e bimbo. Forse perché una neo mamma è più sensibile o forse perché il tempo insegna ad avere pazienza e a non pretendere di spiegare, con fare da maestrina cose che sono state capite ormai quasi un secolo fa, a chiunque, dopo un po' ho iniziato a liquidare la faccenda con un sorriso sicuro di sé tutti coloro che tanto avevano a che fare poco ormai con i piccoli.
Ma con gli altri no. E allora ecco fare “educazione” con nonni, zii e co. E ogni volta in cui pareva esserci terreno fertile con giovani mamme.

Non pensate, però, che io sia una specie di mamma perfetta!
Sapere le cose è fondamentale ma non basta.
Lavorare su se stessi è utile ma non  basta.
E allora?
Allora, informiamoci, diventiamo consapevoli, se necessario lavoriamo su noi stesse e, intanto, facciamo le nostre scelte in serenità, conoscendo cosa sarebbe ottimale ma anche sapendo che la perfezione non esiste, anzi, direi che la perfezione non è mamma!
Vi dirò di più (e lo approfondirò in uno dei prossimi articoli) per il benessere dei nostri figli è importante essere “mamma sufficientemente buone” ovvero non perfette.

Intanto, vi lascio un po' di teoria per saperne di più e per zittire, eventualmente, chi si permette di dare giudizi a chi, assecondando l'istinto di ogni madre “sufficientemente buona”, accorre al pianto dei propri bimbi e sceglie, sentendosi appagata, di ispirarsi all'accudimento “ad alto contatto” di cui tanto si parla. 
Negli anni 50 del secolo scorso, J. Bowlby e M. Ainsworth, dall'osservazione del comportamento dei piccoli in rapporto alla loro figura di cura, tipicamente la madre, misero a punto la teoria dell'attaccamento secondo la quale la madre con il suo stile di accudimento influisce sullo sviluppo della personalità del bambino. La teoria definisce “base sicura” la situazione ottimale in cui i bambini possono crescere appagati nei loro bisogni, gradualmente indipendenti e con una buona autostima e fiducia in sé stessi e negli altri che li aiuterà a fare scelte costruttive nelle relazioni con gli altri.
Lo stile di attaccamento è innato, geneticamente programmato e ha la finalità di far restare vicino ai piccoli un adulto che possa proteggerli, ma lo stile con cui questo risultato viene ottenuto è modellato anche dall'ambiente, ovvero dallo stile di accudimento della figura di cura, spesso la mamma.
I tre stili di attaccamento così detti “organizzati” ovvero che in qualche modo funzionano sono tre: sicuro, insicuro evitante, insicuro ansioso. Un quarto tipo (disorganizzato) riguarda le relazioni più disturbate e, per fortuna, interessa un numero inferiore di casi.

Il bambino “sicuro” sa che ha nella figura accudente un “porto” sicuro dal quale si può allontanare per esplorare il mondo e al quale può ritornare qualora qualcosa lo turbi o ne senta la necessità.
La figura accudente è sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede ma sa anche rispettare le sue manifestazioni di autonomia.
I bimbi con attaccamento sicuro dimostrano sicurezza nell’esplorazione del mondo, pensano di essere degni di amore, hanno la capacità di sopportare distacchi prolungati commisurati all'età, non hanno ansia da separazione, hanno fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, sono positivi ed affidabili, sanno avere fiducia negli altri.
Il tipo di relazione avuta con la figura di cura principale influenzerà tutte le relazioni interpersonali successive, la scelta dei partner e lo stile di accudimento dei propri figli.
Quando c'è stato un attaccamento sicuro nel bambino, le relazioni interpersonali future saranno, più probabilmente, improntate sul rispetto di sé e dell’altro, sulla stima e sulla fiducia. Nelle relazioni amorose ci sarà la ricerca di partners che abbiano la stessa “sicurezza”, dunque le relazioni avranno più probabilità di essere durature ed equilibrate con la capacità di superare i conflitti e le difficoltà con strategie adeguate alla situazione.
Nello stile “insicuro evitante” il bambino tende a non chiedere aiuto perché percepisce la figura accudente come poco disponibile ad ascoltarlo, poco presente o addirittura rifiutante. Prevale così l'insicurezza e sfiducia verso il mondo esterno, la convinzione di non essere amato, la tendenza all’evitamento per paura del rifiuto, ed un'apparente “autosufficienza” dovuta alla necessità di bastare a se stesso.
Le relazioni interpersonali future saranno caratterizzate da freddezza emotiva. Il bambino ormai divenuto adulto ed avendo interiorizzato la madre “rifiutante”, cercherà in tutti i modi di difendersi da eventuali esperienze altrettanto rifiutanti.
Il bambino che ha un attaccamento “insicuro ansioso” percepisce la figura d’attaccamento come disponibile in maniera discontinua: a volte la madre è presente o addirittura eccessivamente invasiva, ansiosa, in altri momenti è assente.
Sono bambini che temono l'abbandono e possono soffrire di ansia da separazione. Talvolta la minaccia preferita dalle figure accudenti è “se non fai ciò che ti dico ti abbandono”. L'esplorazione del mondo risulterà insicura, caratterizzata da ansia. Il bambino si percepirà come persona non degna di amore.
Nelle relazioni interpersonali il soggetto sarà in balia spesso dell’impulso, della passione e talvolta mostrerà grande gelosia, possessività e ossessione. Idealizzerà gli altri sopravvalutandoli e sovente sminuirà il proprio se stesso, con sentimenti di sfiducia circa le proprie capacità.
Oltre ad essere una sintesi, quella descritta è una semplificazioni di tipologie che nella realtà si trovano più sfumate e meno nette. I tre tipi di attaccamento, anche se quello sicuro è quello ottimale, sono comunque funzionali a mantenere la vicinanza anche in modo più o meno sereno.
Mentre l'attaccamento “disorganizzato” è quello che può essere fattore di rischio rispetto alla psicopatologia, motivo per cui nell'ottica della prevenzione è utile riconoscere il disagio per indirizzare chi ne è portatore verso una richiesta di aiuto per evitare più gravi disagi futuri.
Le figure di accudimento, in casi di attaccamento disorganizzato, hanno traumi irrisolti, sono spaventate e, quindi, spaventanti per il bambino che resta disorientato tra il bisogno di accudimento e la paura nel riceverlo.
Di fronte a situazioni stressanti, questi bambini possono rimanere congelati a metà azione, avere sguardo fisso nel vuoto oppure tipicamente mostrare reazioni completamente opposte nello stesso breve lasso di tempo, come avere un contemporaneo avvicinamento e rifiuto della mamma.
L’immagine di sé e dell’altro è vissuta in maniera negativa, vi è rifiuto dell’intimità e spesso conflitto tra questo e la ricerca dell’altro dal quale tali soggetti a volte si mostrano dipendenti.
Il soggetto lamenterà solitudine e paura di non piacere se non riesce a trovare una persona con cui stare. Quando instaurerà una relazione di coppia, assumerà un ruolo passivo, colpevolizzandosi eccessivamente per i problemi interni alla coppia stessa.
Tipo di attaccamento che può favorire insorgenza di patologia oltre a creare forti difficoltà relazionali: non fa bisogno di essere malati per soffrire.
Ricapitolando e precisando alcune cose:
                    il bambino nasce già “competente” e predisposto alla relazione interpersonale
                    la madre è tipicamente la figura di attaccamento principale ma non l'unica, sempre più ricerche sottolineano l'importanza del padre e degli attaccamenti multipli soprattutto nelle situazioni meno facili
                    sono tre i tipi relativamente sani di attaccamento (sicuro, evitante, ansioso) anche se quello sicuro è sicuramente fattore protettivo rispetto la patologia e maggior garante di una vita caratterizzata da relazioni costruttive e serene
                    l'attaccamento disorganizzato è un fattore critico da non lasciare inascoltato e rispetto al quale intervenire
                    il sistema di attaccamento che si instaura durante i primi anni di vita influisce su
a) la percezione di se stessi come degni di amore o meno, la stima di sé e la fiducia negli altri
b) le scelte relazionali affettive future

                    da ciò risulta che è utile e responsabile lavorare su se stessi (o/e sulla relazione) per evitare di mantenere la trasmissione intergenerazionale delle carenze del rapporto madre-figlio: il modello che abbiamo ricevuto automaticamente, in qualche modo, si ripropone (identico o reattivamente opposto) e andrà ad influenzare le scelte affettive dei nostri figli e la loro percezione di se stessi;

                    è dimostrato che da adulti, lavorando su si sé, si possono recuperare le eventuali difficoltà sorte da un attaccamento non ottimale, rivivendo una relazione nel modo corretto con un terapeuta; tale lavoro può essere effettuato tanto per migliorare la propria autostima e la qualità delle proprie relazioni, quanto per divenire il più possibile “base sicura” per i nostri figli.

E' evidente come gli stili materni “ad alto contatto” siano congruenti con la teoria dell'attaccamento  e quindi siano ottimi se applicati in un contesto che rispetti, tanto il bisogno di vicinanza del bambino, quanto quello di crescente autonomia.

A chiudere ci tengo, però, sottolineare un paio di concetti:
- Una madre per fare crescere bene i suoi figli deve essere “una madre sufficientemente buona” ovvero non perfetta! Una madre perfetta che soddisfa addirittura anticipando tutti i bisogni del bambino è nociva, ruba la conquista della competenza, della sicurezza e dell'autonomia dei bambini e provoca gravi danni.
- Un bambino per crescere sano e felice deve assorbire la serenità dagli occhi della sua mamma, per questo il benessere delle mamme va tutelato quanto quello dei loro piccoli, al di là delle scelte e delle preferenze di accudimento.

Ai prossimi articoli per parlare proprio di questo!

D.ssa Stefania Macchieraldo
Psicologa

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